Posted: 21 Jul 2013 01:19 AM PDT
Sulla copertina di “Time”, uscita mentre
il Santo Padre è in viaggio per il Brasile, c’è una sua foto con questo titolo:
“The People’s Pope”. Cioè il Papa della gente o meglio “il Papa del popolo”.
Si può dire in effetti che Francesco
incarna, nel suo esempio, nel suo insegnamento, nella sua storia e nella sua
figura di pastore quella “vera teologia della liberazione” che per anni Joseph
Ratzinger e Giovanni Paolo II hanno annunciato.
Mentre mostravano gli errori della
“teologia della liberazione” che si era diffusa negli anni Settanta in Sudamerica,
quella di teologi come Gustavo Gutierrez, Camillo Torres, i fratelli Leonardo e
Clodoveo Boff, poi Jon Sobrino e altri, che s’illudevano di realizzare il
Vangelo abbracciando le analisi marxiste, la lotta di classe e la rivoluzione.
Un errore drammatico.
LA SVOLTA DI BOFF
Di recente proprio uno di loro,
Clodoveo Boff, è intervenuto per dare ragione alla Chiesa di Ratzinger, di
Giovanni Paolo II e quindi – lo vedremo – di Bergoglio.
L’11 marzo ha rilasciato
un’intervista, al giornale brasiliano “Folha de S. Paulo”, annunciata con
questo titolo: “Irmão de Leonardo Boff defende Bento 16 e critica Teologia da
Libertação”.
Clodoveo Boff, facendo riferimento a
quanto scrisse l’allora cardinale Ratzinger, dice: “egli ha difeso il
progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a
causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza
marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza
della fede: non è come la società civile dove la gente può dire quello che
vuole. Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si
autoesclude dalla Chiesa. Fin dall’inizio ha avuto chiara l’importanza di
mettere Cristo come il fondamento di tutta la teologia”.
Invece “nel discorso egemonico della
teologia della liberazione”, riconosce Clodoveo Boff, “ho avvertito che la fede
in Cristo appariva solo in background. Il ‘cristianesimo anonimo’ di Karl
Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e
la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali”.
Il teologo ha concluso con un
ricordo personale molto significativo: “Negli anni ’70 il card. Eugenio
Sales mi ha ritirato la certificazione per l’insegnamento della teologia presso
l’Università Cattolica di Rio. Sales mi ha affabilmente spiegato: ‘Clodoveo,
penso che ti sbagli. Fare del bene non basta per essere cristiani,
l’essenziale è confessare la fede’. Aveva ragione, infatti la Chiesa è
diventata irrilevante. E non solo essa, ma Cristo stesso”.
Se dunque “quella” teologia della
liberazione è naufragata, insieme ai sistemi marxisti, è cresciuta la
“vera” teologia della liberazione. Proprio Ratzinger ne è stato un forte
promotore e Bergoglio ne è il frutto maturo.
E qui si scopre di nuovo il filo rosso
che lega i due uomini di Dio. E’ noto infatti che Bergoglio fu in America
Latina uno dei più accorati sostenitori di questa via indicata dalla Chiesa,
cioè l’abbraccio dei poveri, sia nella vita materiale che in quella spirituale,
la denuncia delle ingiustizie profonde che opprimevano tanti popoli, ma con
l’annuncio del Vangelo e non dell’ideologia marxista.
Quel legame porta fino al Conclave
del marzo scorso. E’ proprio il viaggio di papa Francesco in Brasile, per la
Giornata mondiale della gioventù, che permette di scoprirlo. Lo ha fatto notare
Lucio Brunelli con un articolo sul sito “Terre d’America” di Alver Metalli.
TUTTO COMINCIA CON MARIA
Brunelli, sottolineando “l’insolito
destino” che “continua a legare il papa regnante e il papa emerito” – oltre
all’affetto e alla stima personale – indica un luogo significativo: il
santuario mariano di Aparecida, che è il cuore cristiano del Brasile.
E’ lì, ai piedi della Madonna, che
papa Francesco andrà a pregare il 24 luglio prima di recarsi all’appuntamento
con due milioni di giovani. E proprio in quel santuario si era recato Benedetto
XVI il 13 maggio 2007, attorniato da una folla immensa. Perché ad Aparecida era
in corso la quinta conferenza generale dell’episcopato dell’America Latina e
dei Caraibi.
“Fu quell’assemblea” spiega Brunelli
“a consacrare la figura dell’arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, come
leader continentale della Chiesa latinoamericana. La sua reputazione di uomo di
Dio era già nota. La sua condotta di vita, lo spazio che riservava alla
preghiera, il rifiuto del lusso e l’attenzione evangelica ai poveri, erano
tratti ben conosciuti da molti suoi confratelli. Non a caso molti di loro lo
avevano già votato nel conclave del 2005. Ma ad Aparecida i vescovi
latinoamericani (e non solo loro) scoprirono anche le capacità di ‘governo’ di
Bergoglio”.
Egli infatti era stato eletto alla
presidenza della commissione che doveva scrivere il documento finale, un
compito delicato perché doveva indicare la strada per una Chiesa complessa, nel
continente più cattolico del mondo e proprio mentre erano in corso tumultuosi
cambiamenti (il baratro del default argentino, l’impetuosa crescita economica
brasiliana).
Bergoglio riuscì a far esprimere in
armonia tutte le diverse sensibilità e – dice Brunelli – “valorizzò insieme la
devozione popolare e le istanze più autentiche della teologia della
liberazione, depurata dalla crosta ideologica degli anni 70”.
Nell’omelia che pronunciò lì ad
Aparecida il 16 maggio 2007, dopo la partenza di papa Benedetto, si vede
davvero in anticipo – sottolinea Brunelli – tutto papa Francesco:
“Lo Spirito proietta la Chiesa verso le periferie, non solo le periferie
geografiche del mondo conosciuto della cultura, ma le periferie esistenziali.
Lo Spirito ci guida, ci conduce sulla strada verso ogni periferia umana: quella
della non conoscenza di Dio … dell’ingiustizia, del dolore, della solitudine,
della mancanza di senso… ”.
In una successiva intervista a “30
Giorni” ringraziò esaltò papa Benedetto per aver voluto valorizzare il contributo
di tutti. Poi concluse: “Il documento di Aparecida non si esaurisce in se
stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla
missione. L’annuncio e la testimonianza dei discepoli. Per rimanere fedeli
bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida ”.
Brunelli osserva: “Non è azzardato
affermare che proprio ad Aparecida si nasconda parte del segreto dell’elezione
di Bergoglio al soglio pontificio. Furono alcuni cardinali brasiliani, a
partire dal suo amico Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, i primi
a promuovere la sua candidatura durante l’ultimo conclave. Molti forse
ricordano la foto di Francesco, dopo l’elezione, su un mini bus insieme ad
altri allegri porporati. Seduto accanto a lui c’era il cardinale di Aparecida,
Raymundo Damasceno Assis. ‘Nel momento in cui scattarono quella foto – ci ha
confidato – ricordavamo con il nuovo papa il clima fraterno vissuto durante
l’assemblea dei vescovi del continente, e lo stavo giusto invitando a tornare
ad Aparecida, in occasione della Giornata mondiale della gioventù’ ”.
Il nuovo papa disse subito sì:
voleva tornare lì da Maria, colei da cui tutto comincia.
PAROLA DI NEMICO
Proprio il nemico giurato di Bergoglio,
l’intellettuale argentino Horacio Verbitsky, quello che ha definito il nuovo
papa “una disgrazia, per l’Argentina e per il Sudamerica”, fa capire che
Francesco, atteso in Brasile da un mare di persone, sarà un vero segno di
rinascita cristiana.
Infatti ha irosamente dichiarato al
“Fatto quotidiano” che “il suo populismo di destra è l’unico che può competere
con il populismo di sinistra. Immagino che il suo ruolo nei confronti del
nostro continente sarà simile a quello di Wojtyla verso il blocco sovietico del
suo tempo, sebbene ci siano differenze fra le due epoche e i due uomini.
Bergoglio combina il tocco populista di Giovanni Paolo II con la sottigliezza
intellettuale di Ratzinger. Ed è più politico di entrambi”.
Significa che è e sarà un grande
Papa. Né di destra né di sinistra: di Cristo.
Antonio Socci