Antonio Socci ci ha fatto davvero un grande regalo in occasione del suo compleanno (18 gennaio). Noi condividiamo questo dono con gli amici di Renato che ci seguono attraverso questo Blog, ricordando la simpatia, la stima e l'apprezzamento che Renato aveva nei confronti di Antonio Socci.
Auguri di cuore ad Antonio Socci. A Lui e alla sua Famiglia Pace e Bene.
Oggi, essendo il mio compleanno, vi
faccio un piccolo regalo. Un capitolo del mio libro “Indagine su Gesù”
(Rizzoli)
Un giorno, raccontava Chesterton,
“un ateo molto leale con cui mi trovai a discutere fece uso di questa
espressione: ‘Gli uomini sono stati tenuti in schiavitù per paura
dell’inferno’. Gli ho fatto osservare che se avesse detto che gli uomini erano
stati affrancati dalla schiavitù per paura dell’inferno, avrebbe almeno fatto
riferimento a un inoppugnabile fatto storico”(1).
In effetti la sparizione della
schiavitù – una delle più clamorose e stupefacenti rivoluzioni, conseguenti al
cristianesimo (un evento unico in quanto la schiavitù esisteva da sempre, tanto
da essere addirittura ritenuta naturale, un “diritto”) – ha avuto un motivo
esclusivamente spirituale (2).
Non c’è affatto una ideologia
sociale o politica all’origine di questo sconvolgimento, ma un uomo: Gesù.
Il fatto che fin da Paolo sia stata
proclamata la totale uguaglianza – in forza di Cristo – di ebrei e pagani,
uomini e donne, schiavi e liberi e il fatto che, nel momento delle grandi
conquiste e dell’apogeo del papato, il Successore di Pietro, l’amico di Gesù,
abbia proclamato davanti al mondo, contro tutti gli appetiti delle potenze
politiche ed economiche planetarie, che “Indios veros homines esse” (3), è una
“rivoluzione”, un capovolgimento di mentalità che non si spiega certo con
l’eredità della cultura classica (teorizzavano lo schiavismo sia i filosofi
greci che il diritto romano), né era patrimonio della tradizione ebraica, tanto
meno apparteneva alla cultura islamica.
Non era neanche – come qualcuno
potrebbe credere – l’esito di un progresso civile, di un’evoluzione storica
neutrale, perché – anzi – di lì a poco, con la frattura protestante, l’avvento
della cultura laica, illuminista e l’indebolirsi della Chiesa, tornerà a
dominare proprio l’ideologia schiavistica della diseguaglianza degli esseri
umani. Addirittura giustificata con teorie scientifiche (4).
Dunque quella rottura storica, che
andava contro le cosiddette “leggi di natura”, cioè le leggi del dominio, era
tutta e solo dovuta all’irrompere di Gesù nella storia.
Era dovuta al suo fare scudo agli
uomini indifesi col suo stesso corpo, al suo mettersi al posto di tutte le
vittime e di tutti i sofferenti, al suo espiare per ciascun uomo, perfino per i
colpevoli. Nessuno uomo poteva più essere vulnerato, nel corpo o nell’anima.
Come notava Léon Bloy: “Gesù sta al
centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. E’
impossibile colpire oggi un qualunque essere senza colpire lui, è impossibile
umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno
qualsiasi, senza maledire o uccidere lui” (5).
C’è voluto un grande filosofo come
René Girard per far capire la colossale rivoluzione portata nella storia umana
dal racconto evangelico della vita e della morte di Gesù (6).
Così cambiò tutto. Nulla fu più come
prima. Anche se ci vollero secoli. Kant era convinto che “il Vangelo fosse la
fonte da cui è scaturita la nostra cultura”, tutto ciò che noi chiamiamo “la
civiltà”.
Se Gesù non fosse nato, se non fosse
stato fra noi – per fare qualche esempio – non ci sarebbero stati né l’Europa
moderna (con tutto quello che ha dato al mondo, europeizzandolo), né più il
ricordo e le opere dell’antichità greca e romana che furono custodite e
tramandate dai monaci.
Non ci sarebbe stata neanche la
moderna economia (7), col suo inedito benessere perché sempre i monaci –
seguendo Gesù lavoratore – nobilitarono il lavoro manuale, un tempo ritenuto
prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera, e trasformarono
l’Europa devastata dalle invasioni barbariche e coperta di foreste selvagge e
acquitrini, in un giardino fertile e rigoglioso.
Come ebbe a dire Henry Goodel
“i monaci benedettini lungo un arco di 1500 anni salvarono
l’agricoltura”. Quindi la sopravvivenza stessa dei popoli e il loro futuro.
Un altro studioso aggiunse:
“Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa” (8),
con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione
demografica. “Educatori economici”, li definì lo storico Henri Pirenne.
L’abolizione della schiavitù
(9) portò all’invenzione (sostitutiva) di macchine per sfruttare l’energia
idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina,
follare i panni e per la conciatura” (10).
Così, questa messa al bando della
logica dei “sacrifici umani” (a cui apparteneva lo schiavismo), non solo non
fece decadere la società, come riteneva Nietzsche, ma fece fare un balzo avanti
nella tecnologia che produsse vantaggi straordinari e immensi progressi.
I monaci insegnarono ai contadini a
dissodare, bonificare, coltivare e irrigare e l’Europa divenne fertile. I
monaci introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, “la fabbricazione
della birra, l’apicoltura, la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria
esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a
Parma, i vivai di salmone in Irlanda” (11) e tante altre cose.
Citiamo – per fare un altro esempio
– la produzione del vino e “la stessa scoperta dello champagne che si può far
risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell’Abbazia di Saint Pierre a
Hautvillers sulla Marna” (12).
Sottolineo in particolare il vino
perché è evidente la nobilitazione che ne fece Gesù il quale lo scelse, insieme
al pane, addirittura per il sacramento della sua presenza misteriosa e quindi
per la memoria di lui e del suo sacrificio.
Grazie a questa fiorente agricoltura
rifondata dai monaci l’Europa superò la sussistenza e fiorì il suo successivo
progresso che umanizzò il mondo.
Perfino la celebre bellezza del
paesaggio italiano – specialmente della campagna umbra e toscana – porta il
segno vivo del cattolicesimo che – secondo Franco Rodano – ha plasmato la
“millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il
lavoro non solo come duro travaglio disseminato di ‘spine e triboli’, ma anche
come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, del necessario e del bello”
(13).
Tutta questa fioritura di una
civiltà non era stata perseguita dai monaci. Loro cercavano solo il regno di
Dio, il resto – secondo la promessa di Gesù – fu dato in sovrappiù. Fu il
frutto di una liberazione dell’umano.
I monaci non avevano un progetto
sociale, politico o culturale. Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme
celeste, quella che rappresentavano come l’incontro definitivo con Gesù.
Ecco le travolgenti parole di un
autore monastico del XII secolo:
“Egli è il
bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli
desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra
desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il
consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la
guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte,
pio remuneratore di chi vince.
Egli è l’altare
d’oro nel Santo dei Santi, dolce riposo dei figli, visione di gioia per gli
angeli (…). Che gli renderemo per tutto ciò che ci ha donato? Quando saremo
liberati dal corpo di questa morte? Quando saremo inebriati dall’abbondanza
della casa di Dio nella sua luce vedendo la luce? Quando apparirà Cristo, vita
nostra, e noi con Lui nella gloria?” (14).
Ecco cos’avevano nel cuore e nella
mente questi uomini forti e temerari mentre – in fraternità, umiltà e obbedienza
– salvavano la bellezza dalla barbarie, l’umanità dalla bestialità, mentre
trascrivevano codici, dissodavano campi, dipingevano miniature, sanavano
paludi, costruivano abbazie, inventavano sistemi di irrigazione e coltivazione
e cantavano a ogni ora le lodi di Dio, dagli abissi delle foreste alle pendici
delle montagne.
Mi sono soffermato su particolari di
vita quotidiana per sottolineare quante piccole, innumerevoli conseguenze –
senza che ne abbiamo coscienza – ebbe la vita di Gesù. Ma bisognerebbe
menzionare anche cose e istituzioni più importanti.
Non ci sarebbero state né scuole, né
università, né ospedali (15), con tutta una serie di grandi opere di carità
(16), né la scienza moderna e la tecnologia che conosciamo, senza i monaci che
vivevano nella meditazione della vita di Gesù (17). E nemmeno la musica.
E’ facile provare storicamente che
queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (insieme alle Cattedrali e
all’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia
cristiana.
Se Gesù non fosse venuto fra noi non
sarebbe stato possibile conoscere neanche l’amore come oggi lo conosciamo, cioè
la felicità terrena fra un uomo e una donna innamorati che formano una
famiglia, generano figli e si sostengono per la vita, facendo crescere la loro
comunità e il loro popolo.
E’ quanto mostra Denis De Rougement
nella sua memorabile opera “L’amore e l’Occidente”.
Prima di Gesù all’uomo di presentava
solo la disperata alternativa fra i contratti matrimoniali, dove non era
previsto l’amore (e dove la donna era proprietà del marito (18)), e l’ “amour
passion”, il mito della fusione e dell’estasi, sempre inappagata. Era l’uomo
condannato all’infelicità nel suo desiderio di infinito.
“L’incarnazione del Verbo nel mondo”
scrive De Rougement “è questo l’inaudito evento che ci libera dall’infelicità
di vivere” (19).
I popoli cristianizzati
scoprono, grazie all’insegnamento della Chiesa e alla testimonianza dei santi,
l’amore monogamico e indissolubile di cui parla Gesù.
Prende inizio quella nuova storia
dell’amore, finalmente felice, che si chiama famiglia: “Amare diviene allora
un’azione positiva, un’azione di trasformazione”.
Gesù comandò addirittura “Amate i
vostri nemici”. Dentro questa misura divina e infinita, chiese “l’abbandono
dell’egoismo, dell’io fatto di desiderio e d’angoscia; la morte dell’uomo
isolato, ma altresì la nascita del prossimo. A coloro che gli domandano
ironicamente ‘chi è il mio prossimo?’ Gesù risponde: è l’uomo che ha bisogno di
te. Tutti i rapporti umani, da quell’istante, mutano di senso. Il nuovo simbolo
dell’Amore non è più la passione infinita dell’anima in cerca di luce, ma è il matrimonio di Cristo e della
Chiesa. Lo stesso amore umano ne viene trasformato (…). Un amore siffatto,
essendo concepito sull’immagine dell’amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef. 5,
25), può essere veramente reciproco. Perché egli ama l’altro com’è, anziché amare l’idea
dell’amore o la sua vampa mortale e deliziosa. Inoltre è un amore felice,
malgrado gli impacci del peccato, in quanto conosce fin da quaggiù,
nell’obbedienza, la pienezza del suo ordine” (20).
Gesù fa scoprire l’ “agapé”, l’amore
che riconosce un “tu” prima di affermare il proprio desiderio. L’amore che ama
l’altro (accettandone i limiti) e non l’idea dell’altro. L’amore che perdona e
che sostiene.
E dunque adesso Tristano può
finalmente sposare la sua Isotta, smettendola di farne il “simbolo del
Desiderio” (sempre inappagato e smanioso di morte). La sposi e viva, sperimenti
con lei la felicità e la fatica dei giorni, generi dei figli e costruisca la
dimora degli uomini, scoprendo il vero eroismo che è quello della vita
quotidiana, quello – come diceva Charles Péguy – del misconosciuto “padre di
famiglia” e della madre.
Un amore che “crea” e fa crescere,
non distrugge nel possesso, un amore che permane fedelmente e quindi costruisce
nel tempo. Un amore che protegge, che aiuta e che sostiene è – per dirla con
Chesterton – “la più straordinaria delle trasgressioni e la più romantica delle
rivolte” (21).
E’ anche la base della civiltà,
questo delicato e fragilissimo ponticello di umanità che sta sospeso
sull’abisso dell’istinto selvaggio. E anche la base di ogni Stato concepito
come casa di un popolo.
Del resto senza Gesù non avremmo mai
avuto neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in
un memorabile discorso alla Sorbona – è Gesù che ha desacralizzato il potere,
il quale da sempre aveva usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo
Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere
assoluto sulle persone e le cose. Con Gesù inizia veramente la storia della
libertà umana.
Da Antonio Socci,
“Indagine su Gesù”, Rizzoli
1) Gilbert K. Chesterton, San
Francesco d’Assisi, Lindau 2008, p. 31
2) Ecco la situazione di Roma, patria
del diritto, all’arrivo del cristianesimo descritta da Gustave Bardy:
“All’ultimo posto della società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli
animali che all’uomo, ci sono gli schiavi. Essi non sono persone, ma cose, beni
di proprietà che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da
cui ci si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La pratica potrà
essere di benevolenza, ma, fino agli Antonimi, la teoria resta quella: la legge
non riconosce agli schiavi alcun diritto civile o religioso. Così come lo
schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia, altrettanto è impedito
dall’accedere ai culti nazionali”, in La conversione al cristianesimo nei primi
secoli, Jaca Book 2002, pp. 19-20
3) Dopo la scoperta dell’America si
pose di nuovo il problema della schiavitù e il 2 giugno 1537 papa Paolo II
emana la memorabile Bolla “Sublimis Deus” (o anche “Veritatis Ipsa”) con la
quale spazza via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo
Mondo, proclamando che “Indios veros homines esse”. Per renderli schiavi e
razziare i loro beni, si adduceva l’idea che fossero dei selvaggi, non veri
esseri umani, e si portava come prova il fatto che non avevano la fede
cristiana. Il Papa risponde definendo i portatori di questi potenti interessi
addirittura “manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, a
costringere gli indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono
venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali
bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Noi che, seppure indegnamente,
facciamo le veci dello stesso nostro Signore in terra e che cerchiamo con ogni
sforzo di portare allo stesso ovile le pecore del suo gregge a noi affidate che
sono fuori di questo ovile, vedendo che gli stessi indios, in quanto veri
uomini, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma come ci è stato
riferito, accorono con entusiasmo ad accettarla, abbiamo deciso di prendere dei
provvedimenti adeguati. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento
stabiliamo e dichiariamo che i predetti indios, e tutti gli altri popoli che in
futuro verranno scoperti dai cristiani, anche se non sono cristiani, non si
possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è
lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che
si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà stata fatta in contrario
la dichiariamo nulla e invalida alla detta fede di Cristo”.
Certo, nel corso dei secoli le
turpitudini si continueranno a perpetrare e anche uomini di Chiesa assumeranno
atteggiamenti e formuleranno posizioni contrapposte a questo pronunciamento
solenne del magistero, tuttavia sempre questo sarà fatto in contrapposizione
all’insgenamento del Vangelo e sotto il giudizio di condanna.
4) Vedi Leon Poliakov Il mito
ariano, Editori Riuniti 1999
5) Cit. in Descalzo, cit., pp. 25-26
6) “I Vangeli si riveleranno da sé
come potenza universale di rivelazione”, scrive Girard. Demitizzano e
distruggono i meccanismi della persecuzione e della colpevolizzazione della
vittima. Girard ha mostrato come tutte le civiltà precristiane si fondavano sul
rito sacrificale del capro espiatorio e sulla pratica cultuale o culturale dei
“sacrifici umani” (letteralmente, nelle religioni pagane, e come meccanismo
sociale e politico per esempio nello schiavismo o nella pratica della guerra).
Tutto questo è stato spazzato via e “che lo si sappia o no, responsabili di
questo crollo sono i Vangeli”, René Girard, Il capro espiatorio, Adelphi 1999,
pp. 164-165
7) Thomas Woods, Come la Chiesa
Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli 2007, p. 14, p. 75 e
ssgg e p. 161
8) Idem, pp. 36-37
9) Rodney Stark, La vittoria della
ragione, Lindau 2006, pp. 51-62.
10) Woods, op. cit. p. 41
11) Idem, p. 39
12) Idem, p. 40
13) Franco Rodano, Lettere dalla
Valnerina. Questa intuizione è ripresa e valorizzata dal filosofo marxista
Mario Tronti nel saggio su “Rivista Trimestrale” n. 3-4/87.
14) Jean Leclercq, Cultura
umanistica e desiderio di Dio, Sansoni 1983, p. 77
15) Come ha spiegato René Girard
anticamente si conosceva la solidarietà familiare, di tribù, di etnia, di
connazionalità, ma che dovesse essere soccorso il sofferente in quanto “uomo”,
anche se straniero e sconosciuto, è una rivoluzione morale e culturale portata
dal cristianesimo. Scrive lo storico della medicina Adalberto Pazzini:
“Frattanto una nuova forse morale e spirituale andava conquistando gli animi e,
attraverso le persecuzioni ed il martirio, dilagava nel mondo: il Cristianesimo.
A prescindere dal suo valore di Rivelazione e da quanto concerne il lato
puramente religioso, a noi interessa qui puntualizzare il concetto di carità e
di amor del prossimo che emerse dalla Predicazione evangelica, riservandoci di
tornare sull’argomento più diffusamente, allorché inizieremo lo studio del
medioevo. Qui… cade l’opportunità di ricordare che, ancora nelle ambasce create
dalle persecuzioni, il Cristianesimo mise in atto quel che può essere definito
il maggior comandamento ‘sociale’ della nuova religione, e cioè la carità e
l’amor del prossimo, concetti assai vaghi (se pur esistevano) per l’innanzi.
Questo amor di prossimo, giusta la parabola evangelica detta del ‘Buon
Samaritano’, si esplicò in una organizzazione che la primitiva Ecclesia istituì
in favore dei sofferenti e, principalmente, degli ammalati. Ad essa conseguente
è il concetto di ‘ospedale’ come luogo in cui, per solo e unico spirito di
carità, si ospitavano e si curavano i malati cui mancasse ogni possibilità di
risorsa. Xenodochi furono chiamati questi ospizi, parola la cui etimologia
significa ‘ricovero per stranieri’ (pellegrini), ma che assunse, poi,
significato vero e proprio di ospedale. Pie persone e Santi si resero esecutori
del comandamento evangelico, quando ancora infierivano le persecuzioni. Secondo
la tradizione, il Papa s. Cleto, nell’anno 80, trasformò la propria casa in
ospizio, e ugualmente avrebbe fatto s. Agnese al principio del IV secolo, nella
sua casa sulla Nomentana”, Adalberto Pazzini, Storia dell’arte sanitaria dalle
origini a oggi, Edizioni Minerva Medica, Torino 1973, pp. 370-372. Woods
aggiunge: “Già nel IV secolola Chiesa iniziò a promuovere la creazine di
ospedali su larga scala, al punto che quasi ogni città principale si trovò ad
averne uno” (op. cit. p. 184).
16) Tutto nasce in modo spontaneo,
non da progetti sociali o politici, ma solo dalla carità, dal comandamento di
Gesù di amare il prossimo come se stessi e di amare perfino i nemici. Fin dagli
inizi questa novità fu – anche da l punto di vista sociale – un ciclone
imprevisto. Rodney Stark, nel volume “The Rise of Christianity” (HarperCollins
1997) dimostra che uno dei fattori decisivi della diffusione del cristianesimo
nei primi anni fu quell’inedito prendersi cura di poveri, senzatetto, vecchi,
malati, abbandonati, vedove, orfani. Da sempre costoro avevano dovuto
affrontare da soli la crudeltà del mondo e le prove dell’esistenza, ma “quando
irruppe il cristianesimo la sua superiore capacità di affrontare questi
problemi cronici diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo
definitivo trionfo” (p. 162).
17) Nota Gimpel che “il Medioevo
introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche
ad altre civiltà”. E furono i monaci, come spiega un altro storico, “gli
esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a
dire l’Europa, dopo l’invasione dei barbari (…). In effetti, che fosse la
macinatura del sale, del piombo del ferro, dell’allume o del gesso, o la
metallurgia, l’escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una
fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come ‘piastre
del focolare’, non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di
creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano
incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei
monasteri si sarebbe diffusa per tutta l’Europa” (Woods, cit., p. 43).
18) Seneca affermava che “è male
amare la propria moglie come se fosse un’amante”. Quindi, nel migliore dei
casi, a Roma fra i coniugi c’era, oltre al contratto matrimoniale, una rapporto
di reciproca solidarietà (Vedi Eva Cantarella, Passato prossimo, Feltrinelli
1996, p. 103).
19) Denis De Rougement, L’amore e l’occidente, Bur 1977, p. 110
20) Idem, pp. 111-112
21) Quello che Emilio Cecchi dice di
Chesterton è illuminante per capire il cristianesimo. Dunque il grande
convertito inglese ha voluto dimostrare, secondo Cecchi, “che non i fumi
dell’oppio, non le voluttà acide e complicate, non gli eccessi
dell’individualismo sono poetici e vitali, ma gli affetti semplici della realtà
pratica. Ha fatto vedere che c’è più romanzo che in qualunque romanzo nella
famiglia dove non succede nessun romanzo; mentre tutti erano disposti a
riconoscere un’avventura in un amore clandestino, e non già nella fedeltà del
matrimonio”.