lunedì 13 marzo 2017

Cesare Ferri e i suo saggio "L'età del Canbastardo"


L'età del Canbastardo
di Cesare Ferri
Orion Libri
Riportiamo l'articolo di Roberto Pecchioli, tramite Maurizio Blondet,  che parla del saggio dell'amico Cesare Ferri.


Il canbastardo, la guardia rossa della democrazia a taglia unica.


                                                           di Roberto PECCHIOLI

Un saggio di alcuni anni fa di Cesare Ferri, uno dei cattivi ragazzi della Milano degli anni Settanta, lungamente perseguitato dalla cosiddetta democrazia, si intitolava L’età del Canbastardo. Era un lungo monologo del protagonista, moderno Don Chisciotte, contro i mulini a vento della modernità e della degenerazione, con il linguaggio immediato e fiorito di chi parla innanzitutto a se stesso. Ne aveva per tutti, il sanbabilino invecchiato, un po’ sgualcito dalle esperienze della vita, ma lucidissimo nel colpire i benpensanti e soprattutto gli intellettuali autonominati, la finta intellighenzia del pensiero unico molliccio, anzi viscido.
Il Canbastardo è sempre all’opera, lavora h. 24 tutti i giorni dell’anno, oggi più che mai, nel regno del Politicamente Corretto e della democrazia a taglia unica. Sì, perché, come nella orwelliana Fattoria degli Animali, tutti sono uguali, ma alcuni lo sono più degli altri, per cui, per la proprietà transitiva, molti sono meno uguali. Pensavamo a questo assistendo al disgustoso spettacolo mediatico relativo agli incidenti a margine del comizio napoletano di Matteo Salvini.
Chi milita in movimenti politici, culturali o religiosi non graditi al correntone progressista sa da sempre di essere figlio di un Dio minore, non soltanto in Italia. Nel caso di specie, al capo della Lega è stato contestato il diritto di recarsi a Napoli per svolgervi attività politica. Caporione della rivolta, il sindaco Luigi De Magistris, ex magistrato della pubblica accusa. Mala tempora currunt… Se fossimo napoletani, non avremmo simpatia per il Capitano leghista, nel cui passato abbondano dichiarazioni imbarazzanti nei confronti della capitale del nostro Sud. Altrettanto, ci guarderemmo bene dall’appoggiare un personaggio, il sindaco Giggino, il cui concetto di libertà si basa sul divieto, a suo insindacabile giudizio, di esprimere convinzioni a lui sgradite. Per di più, il prode ex PM usa come esercito privato i cosiddetti centri sociali. I “ragazzi” (loro mantengono la qualifica indipendentemente dall’età) che hanno devastato Fuorigrotta con la scusa della contestazione a Salvini sono figli ed amici suoi. Chiunque faccia politica a Napoli ne conosce arroganza, invadenza, onnipresenza. Sono foraggiati e coccolati; sembra che i gruppi siano ben trentatrè nella città di Masaniello, forse più numerosi dei clan camorristici che vi spadroneggiano.
Ma nulla conta attaccare De Magistris ed il suo rivoltante carro di Tespi. Paradossalmente, va addirittura ringraziato: almeno non si nasconde dietro paludamenti e frasi fatte, e fa sì che venga alla luce una vergogna che troppo stesso viene negata o minimizzata, ovvero l’abolizione concreta della libertà, in Italia ed in Occidente, per chi non condivida l’orizzonte progressista. La Costituzione formale – un ferro vecchio tanto più esaltato quanto meno se ne tiene conto – recita, all’art. 17, che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, e prosegue, all’art. 21, riconoscendo il diritto per tutti, inclusi Salvini, dissidenti ed oppositori di ogni orientamento, “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Così recitano i sacri cartigli, ma che sia una finta lo sappiamo in molti. Non solo non possiamo dire bene, se quella fosse la nostra convinzione, dei regimi del trapassato remoto, ma siamo impediti dal pronunciare frasi e parole, pure citate nei dizionari, che possano suonare discriminatorie, naturalmente verso alcuni, non tutti. Come il maiale Napoleone che assume il comando della fattoria contro il sincero rivoluzionario Palla di Neve, alcuni sono “più “uguali. Nell’Età del Canbastardo è proibitissimo essere dalla parte degli europei, dei bianchi, degli eterosessuali, dei padri, dell’ordine naturale e di altre cose: l’elenco è aggiornato quotidianamente dai padroni dello Spirito del Tempo. I guardiani della democrazia a taglia unica vigilano. Basta chiamare clandestino uno straniero senza permesso di soggiorno e la multa è in agguato. Se poi osassimo affermare che la famiglia è formata da un uomo e una donna la psicopolizia interverrebbe con tutta la forza e la sussiegosa moralità invertita dell’età del canbastardo. A Madrid è stata vietata la circolazione, con salata multa, ad un pullman sulla cui fiancata un’organizzazione cattolica contraria alla teoria del gender aveva scritto che i maschietti hanno il pene, le bambine la vulva, il resto è un inganno.
Fu gran profeta Gilbert K. Chesterton quando scrisse – ed era il 1905! – “la grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili.”
Le denunce penali per chi afferma verità sgradite, al tempo dell’iperdemocrazia, si moltiplicano e fanno paura, perché la delazione è attivissima, gradita ed incoraggiata. Aldo Giannuli ha scritto che lo spionaggio è il secondo mestiere più vecchio del mondo. Quale sia il primo lo sappiamo tutti, ed è assai meno disonorevole.  Ciò che ancora meraviglia gli ingenui è che tutto ciò venga chiamato libertà, e che volumi interi siano dedicati alla virtù della tolleranza. Noi ci dissociamo anche da essa, questa soffice coperta in cui si avvolge ogni viltà e qualunque sproposito. Ci tocca nuovamente citare Chesterton, secondo cui la tolleranza è la virtù dell’uomo senza convinzioni. Ove poi dovessimo subire l’inevitabile citazione di John Locke e della sua Lettera sulla tolleranza, ci sarebbe facile ricordare che il primo teorico del liberalismo, gran sostenitore della “gloriosa rivoluzione” orangista inglese, ne negava l’estensione ai cattolici, anzi ai “papisti”, termine che, legge Mancino alla mano, potrebbe ricadere nel reato di discriminazione religiosa.
Poi le anime belle – la definizione proviene da un poeta come Schiller, l’autore dei Masnadieri – sogliono scomodare Voltaire e la sua frase, tanto virtuosa quanto mai pronunciata, secondo cui l’autore di Zadig e di Candido si dichiarava disposto a dare la vita per permettere l’espressione di opinioni dalle quali dissentiva. Strano davvero, a dar retta a quanto lasciò nero su bianco contro gli ebrei ed il cattolicesimo, da lui chiamato l’infame da schiacciare (ecrasez l’infame!).  Niente di nuovo sotto il sole, i tolleranti e democratici a corrente alternata esistono da secoli e l’ultimo dei loro idoli è Karl Popper, che teorizzò di negare la parola e la libertà ai nemici della chiamata società aperta, nome d’arte del liberalismo capitalista.
Il pensiero molliccio, o viscido, o debole nella filosofica accezione di Gianni Vattimo, è al contrario fortissimo, intransigente e non di rado violento al momento di affermare una verità unica, l’ultima rimasta, ossia che la verità non esiste. Qui dismettono la loro tolleranza, forse condividono segretamente il giudizio nostro: attitudine cara agli infingardi, che nasconde a fatica inerzia, conformismo, ansia di sottomissione, perfettamente descritte dal sommo Dante, che considera gl’ignavi neppure degni di un girone dell’inferno. Condannati a girare senza posa, sono condannati a girare in eterno inseguendo un’insegna; Virgilio, con romana saggezza, è lapidario “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”.
Noi non contestiamo affatto, tanto per dire, la manifestazione tenuta contro Salvini, o il diritto di esprimere forte dissenso da qualunque opinione: affermiamo tuttavia che, se la democrazia è tale ed esprime la libertà concreta di singoli e gruppi, non vi devono essere tesi, pensieri o idee vietate. Proibito deve essere manifestarle con la violenza, fisica o morale e con la prevaricazione. In una società ipocrita e mercantile, funziona molto bene l’indiretto impedimento. Pensiamo alle intimidazioni di stampa ed a quelle dei mascalzoni dei “social media”, alle oblique “raccomandazioni” di polizia, alla pratica vergognosa, da parte della comunicazione, dei proprietari di sale private, delle istituzioni, di negare nei fatti l’agibilità politica ed il diritto di parola e riunione, nonostante i dissidenti paghino di tasca propria l’esercizio delle loro teoriche prerogative costituzionali.
Ci sono in giro i centri sociali, è intervenuta l’ANPI o quell’altra associazione, il sindaco, o la questura, questo è il dialogo quotidiano dei politicamente scorretti con chi rappresenta il potere. Non tutti, ovviamente: se si è nemici della religione tradizionale, se si possiede la tessera giusta, politica, sindacale, ricreativa, se si appartiene alla galassia sinistrorsa, antirazzista, antifascista, omosessualista, le porte si aprono magicamente, anche se il passato non è proprio cristallino. Saranno i benefici effetti della tolleranza, ma alcune settimane fa Toni Negri, intellettuale conosciuto, ma anche pregiudicato per reati di terrorismo, ha potuto salire in cattedra nell’Università di Genova, mentre pochi giorni prima in città una manifestazione sgradita all’allegra brigata delle sinistre, estreme ed istituzionali, è stata accompagnata, oltreché dal consueto baccano dei centri sociali, dalla mobilitazione del sindaco con tanto di fascia tricolore.
Sotto qualsiasi cielo, coloro dei quali non si può dire male sono quelli che comandano davvero. Una seconda categoria riguarda chi non ha potere, ma serve moltissimo agli obiettivi di chi ce l’ha, come gli immigrati. Con grande ingenuità, molti credevano che tali verità non valessero in democrazia. José Ortega y Gasset, che aveva orrore delle masse, ma restò sempre un liberale, tesseva l’elogio delle democrazie liberali con un argomento che oggi appare risibile: la democrazia è il regime che difende le minoranze, ed in particolare le minoranze più deboli. A condizione, aggiungiamo noi, che non siano davvero “contro”, o almeno che non contestino le verità ufficiali, le idee divulgate o ammesse dal sistema.
In quest’ottica, un buon esercizio di orientamento è quello di verificare chi e che cosa faccia abbaiare il Canbastardo. Il catalogo è quello già citato, a cui possiamo aggiungere gli avversari della globalizzazione e del sistema di vita liberale. Un esponente politico di secondo piano della sinistra politica, metà borghese e metà nostalgico del rosso antico, Pippo Civati, ha espresso le proprie speranze di schieramento, chiedendo un’alleanza “da Boccia a Che Guevara”. Poiché Boccia è il presidente di Confindustria, vogliamo rassicurarlo e fornirgli una notizia: quell’alleanza c’è già, è operativa dalla caduta del muro di Berlino, ma non sembra avere portato né benessere né libertà.
Il politicamente corretto su cui veglia l’intellighenzia – ultimamente danno man forte anche quelli che una volta portavano la tonaca – è, appunto, una vasta alleanza che unisce la destra degli affari e la sinistra dei costumi. Centri Sociali, gran parte della stampa, delle accademie e dei fabbricanti di opinioni ne sono i cani da guardia, il Canbastardo nel mirino di Cesare Ferri. La viltà bottegaia e mercantile, unita al lamentoso pacifismo delle tante maestrine dalla penna rossa sono i principi inderogabili cui è obbligatorio attenersi. E’ in carica infatti l’ubbidiente democratico, splendida definizione di un acuto saggista, Luigi Iannone. I detriti delle ideologie diventano il “luogocomunismo” di massa contemporaneo, il cui riflesso pavloviano è organizzato da un potentissimo circuito fatto di cronaca politica, subculturale, di costume, che detta lo spartito di un pifferaio di Hamelin globale, il quale “astutamente combina atteggiamenti caritatevoli, filantropia e finalità civilizzatrici con una così imponente forza di convincimento da far diventare problematico ribattere e mantenersi ben saldi sulle proprie posizioni”.
Un esempio è quello dei casi di autodifesa contro i malfattori. Chi spara ai manigoldi, invariabilmente “vuol trasformare l’Italia in Far West”. Il giornale dei vescovi, in un episodio recente, ha osato scrivere di privatizzazione della pena di morte. Di chi si arma per delinquere nessun cenno, i loro assassinii non rientrano, evidentemente, nella pena di morte, odiosa davvero in quanto inflitta a vittime innocenti.
Democrazia a taglia unica, ed è un evidente ossimoro, giacché metodo e procedura definiti dalla magica parolina passepartout organizzano il conflitto, ma non lo negano né tanto meno lo impediscono. Contrordine: la democrazia è pensarla allo stesso modo, tutt’al più è ammesso il dissenso sui dettagli. E’ al potere un enorme centro, luogo di incontro degli affari, delle spartizioni, dell’inconfessabile. Per i reprobi veri, ci sono due o tre possibilità: il pensiero spezzato dal codice penale, la pubblica ridicolizzazione, anticamera della gogna, o la prepotenza spicciola dei mazzieri del regime, quei centri sociali che De Magistris ha commesso l’errore di sostenere apertamente, anziché a trattativa riservata, come i progressisti in abito da cerimonia. Ad un livello più alto, si stanno attrezzando per rendere muta o innocua la voce sgradita della Rete. La dittatura all’assenzio di Zuckerberg e soci è alle porte, e quelle porte sono state spalancate dai fieri democratici.
Solo alcuni geni hanno avuto il coraggio di farsi beffe del plumbeo conformismo del pensiero unico. Uno fu il grande attore e regista Carmelo Bene, trasgressivo vero accettando di pagarne il conto. In uno dei suoi rari interventi televisivi osò gettare in faccia ai buonisti di professione il suo disprezzo carico di eversione: “Non me ne fotte niente del Ruanda. E lo dico. Voi no. Non ve ne fotte, ma non lo dite”. Un magistrale atto d’accusa all’ipocrisia dilagante, alle liturgie di chi, a parole, si prende cura di tutto e di tutti, specialmente se lontani, così non si sente l’odore e non si vede lo sporco. L’ubbidiente democratico è sempre dalla parte del Bene, del Giusto, della Solidarietà, dell’Umanità. Tutto con le lettere maiuscole e senza sporcarsi le mani.  Basta che un problema arrivi dalle sue parti, ed eccolo partecipare a comitati o associazioni. Ci vuole il depuratore, abbiamo bisogno delle antenne per la telefonia, ma, mi raccomando, “non nel mio cortile”. Tutto deve essere altrove, anche gli immigrati, che, poveretti, bisogna accoglierli, ma non proprio qui, vicino all’asilo, alle scuole elementari, al parco pubblico o a chissà che altro.
Insomma, chi vuol dire la sua lo faccia, ma a bassa voce e, per carità, “not in my backyard”, non proprio qui. E’ un tempo vuoto, assomiglia a Bibendum, l’omino della pubblicità Michelin, fatto di pneumatici gonfiati al massimo. Basta uno spillone, e il povero Bibendum sfiata e crolla su stesso come un sacco vuoto.
Forti ed occhiuti con i deboli, allineati e servili con i prepotenti, islamisti radicali, poteri finanziari, giganti dell’industria digitale. E’ lo sterminio calcolato delle differenze, il trionfo dell’omologazione mascherata da personalizzazione, come i messaggi commerciali provenienti dall’incrocio dei dati nella nostra nuova identità digitale. L’ordine imperiale è gettare ponti, abbattere muri.  Qui entriamo nella dimensione del surreale, nel quadro di Magritte che ritrae una pipa, con l’avvertenza che quella non è una pipa, ma solo una sua immagine dipinta. Pensiamo alle banconote dell’Euro: ogni taglio contiene il disegno di un ponte e di una finestra, ma nessuno di essi corrisponde a qualcosa che esiste davvero. Ponti e finestre virtuali, come il mondo che ci hanno preparato. Intanto, dappertutto si erigono muri, segno che gli uomini non si sentono tanto uguali tra loro, e diffidano di vicini e lontani.
Il muro americano con il Messico, nella parte costruita al tempo di Obama, tuttavia, è democratico e virtuoso, quello deciso da Trump è una schifezza che grida vendetta e destra indignazione a gettone e manovella, come la musica dell’organetto. I turchi hanno costruito un muro mobile anti curdo di oltre 550 chilometri alla frontiera siriana, nel Kossovo solo muri e filo spinato impediscono il peggio tra albanesi e serbi. Il vallo di Adriano romanizzò la Britannia e tenne lontane le feroci tribù della Caledonia. A Roma, dove i neocattolici invocano ponti e maledicono i muri, le mura di Leone IV difesero l’Urbe dagli islamici, ed il Vaticano stesso non è che un’unica fortificazione attorno a San Pietro ed al colonnato del Bernini.
Ma ci sono anche muri politicamente corretti, come quello israeliano attorno alla Palestina, o quelli di crittografie, fotocellule e “firewall”, ma contemporaneamente di guardiani armati fino ai denti, di mille istituzioni economiche e finanziarie private. Insomma, maschera e volto di una contemporaneità che si considera il culmine della storia, alba di una umanità nuova.  Ad essa sovrintende un pensiero unico che nel passato avremmo chiamato sinistra, diventato custode di un nuovo conservatorismo. La loro sovversione ha vinto, i piromani indossano ora l’uniforme del pompiere inflessibile. Jean Baudrillard, il grande sociologo francese morto nel 2007, definì la presente l’era del transessuale. Si riferiva all’odio invincibile per ciò che non è identico, classificabile, omologabile. Parlava di orrore per l’alterità, che la figura del transessuale, come quella mitica dell’Ermafrodito, assorbe e neutralizza.
La società dell’Unico in miliardi di esemplari, in cui la cultura dominante, saldamente ancorata alle ubbie progressiste, si fa pura giurisdizione morale, tenutaria dei valori del Bene e del Vero. Vestale di un progresso ingrigito, è passata dal senso della Storia all’adorazione beghina della storia, del diritto e della buona coscienza. Vilfredo Pareto, infastidito, lo chiamava virtuismo, tra residui e derivati, Augusto Del Noce, il massimo filosofo italiano della seconda metà del Novecento, parlò di perfettismo, profetizzando l’avvento del partito radicale di massa, liberale, liberista, libertario e libertino.
Quel che unisce l’intero sistema è la demonizzazione dell’avversario, del dissidente, dell’oppositore, o più semplicemente, di chi vuol continuare ad esercitare il pensiero critico, diffondendolo.
In termini evoliani, la sovversione ha vinto la sua guerra. Da oggi, c’è bisogno di una nuova eversione, che ribalti con pazienza l’inversione realizzata. Occorrono coraggio, saldezza di nervi e di cuore, oltre ad un pizzico di sana follia. Nessuno è vincente in eterno, anche l’età del Canbastardo finirà. La verità ha bisogno di essere gridata, nonostante tutto. I ribelli torneranno in campo, e se si dovrà sguainare la spada per affermare che l’erba è verde, ebbene lo faremo.



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