sabato 12 novembre 2011

12 novembre 2011 San Renato Vescovo

Oggi ricorre l'onomastico di Renato.

San Renato di Angers Vescovo
Etimologia: Renato = redivivo, nato un'altra volta, dal latino
Emblema: Bastone pastorale

Ecco una figura di Santo che è il risultato, per usare un termine di attualità, di una " collaborazione internazionale ". E' formata infatti dalla sovrapposizione di due leggende, una fiorita in Francia, l'altra in Italia, a Sorrento. La diocesi di Sorrento, che ha una storia antichissima, ricordava tra i suoi pastori dei primi secoli un Vescovo di nome Renato. Un giorno, nel IX secolo, questo antico personaggio era apparso in visione a Sant'Antonino Abate, patrono di Sorrento, in una grotta dov'egli viveva come eremita. Egli lo descrisse come un vecchio venerando, con la testa calva e una gran barba a cornice del volto rugoso. In Francia, d'altra parte, nella città di Angers, si raccontava la colorita storia di quanto era accaduto a San Maurilio, Vescovo del V secolo. Chiamato per assistere un bambino moribondo, il Vescovo si attardò in Chiesa per una funzione, e quando giunse alla casa del bambino, lo trovò già morto, prima di aver ricevuto il Battesimo.
Sentendosi responsabile di quella perdita, il Vescovo Maurilio volle espiarla severamente. Lasciò in se-greto Angers e s'imbarcò su una nave. Giunto in alto mare, gettò alle onde le chiavi del tesoro della cattedrale e dei reliquiari dei Santi.
Giunto in Inghilterra, s'impegnò come giardiniere reale. Intanto i fedeli lo cercavano, e un giorno, nel fegato di un grosso pesce, ritrovarono le chiavi gettate dal Vescovo fuggitivo. Seguendo quella traccia, come nei racconti polizieschi, giunsero in Inghilterra e riconobbero il Vescovo nelle vesti del giardiniere. Lo convinsero a ritornare ad Angers, e qui giunto per prima cosa il Vescovo si recò a pregare sulla tomba dei bambino morto senza Battesimo.
Pregò a lungo, con affettuosa commozione. Ad un tratto le zolle si ruppero, e dalla fossa si levò sorridendo il bambino, fresco come i fiori cresciuti sopra la sepoltura.
Quel bimbo prodigiosamente resuscitato era anch'egli destinato alla santità. Visse accanto al Vescovo, gli successe sulla cattedra di Angers, e fu San Renato, in francese re-né, cioè nato di nuovo.
Dalla città di Angers, come si sa, prese nome una delle più potenti dinastie di Francia, quella degli Angioini. Nel 1262, un Principe di quella Casa, Carlo d'Angiò, venne in Italia per cacciarne gli Imperatori tedeschi della Casa di Svevia. Egli conquistò il Reame di Napoli, sconfiggendo e mandando a morte gli ultimi Svevi, Manfredi e Corradino.
Gli Angioini restarono nell'Italia meridionale per quasi due secoli, stabilendo stretti rapporti tra la dinastia francese e la popolazione locale. A Sorrento, i conquistatori di un altro paese trovarono un nome familiare nella devozione cristiana: quello di Renato. I Napoletani , dal canto loro, conobbero la leggenda del René francese, il Santo risuscitato.
Dei due Santi, se ne fece così uno solo, con i tratti compositi, festeggiato di comune accordo il 12 novembre. La leggenda venne ampliata raccontando come, nella vecchiaia, il Vescovo di Angers fosse venuto a Sorrento per vivervi come eremita in una grotta, prima di essere eletto pastore della città delle sirene.
Si formò, così, da questa " collaborazione internazionale ", la figura di San Renato quale è stata conosciuta e venerata nei secoli successivi. Un Santo caro a due popoli diversi e anche ostili, accomunati, e anche affratellati, dalla pietà e nella devozione.

Fonte:
Archivio Parrocchia da www.santiebeati,it
santi e beati



Renato Bordonali a Moggio - Estate 2008 

mercoledì 3 agosto 2011

NO ALL'EUTANASIA - STORIA DI UN UOMO QUALUNQUE: RENATO BORDONALI

PUBBLICHIAMO DI SEGUITO IL COMUNICATO STAMPA N. 117 DI COMITATO VERITA' E VITA A CUI ADERIAMO CONDIVIDENDO IN PIENO IL LORO OPERATO E I LORO PROGETTI, COSI' COME LI CONDIVIDEVA IN VITA IL NOSTRO RENATO BORDONALI.
COMITATO VERITA' E VITA



 Agosto 2011 Comitato Verità e Vita 
Comunicato Stampa N. 117
Piemonte, clima da purghe staliniane: arrivano le espulsioni.
Continua la guerra del Movimento per la Vita Italiano contro MpV
e CAV non allineati. Chi non rinnega pubblicamente le posizioni di
Verità e Vita verrà espulso: fra le vittime anche il
Movimento per la Vita di Casale Monferrato, fondato e guidato
dall’indimenticabile Giuseppe Garrone
Il Movimento per la Vita Italiano prosegue la sua guerra senza quartiere nei confronti dei Movimenti per la Vita e dei Centri di Aiuto alla vita del Piemonte. Nei giorni scorsi, il collegio dei Probiviri del Movimento guidato da Carlo Casini ha recapitato a numerosi CAV e MpV del Piemonte una lettera dai toni perentori, nella quale si chiede di inviare entro il 30 settembre una sorta di abiura scritta nella quale si dichiari “di non aderire all’associazione denominata Comitato Verità e Vita e di non approvare le posizioni assunte dallo stesso Comitato in contrasto con gli orientamenti e le linee operative del MpV Italiano.”
La lettera dei probiviri costituisce una risposta al ricorso, promosso da MpV e CAV del Piemonte per opporsi alla procedura di espulsione avviata dal Movimento per la Vita nazionale nei confronti di quanti, a livello locale, non si allineano acriticamente alle decisioni assunte dal Movimento per la Vita nazionale.
Fra le vittime di questa odiosa e inusuale campagna di pressione psicologica, anche il Movimento per la Vita di Casale Monferrato, fondato e diretto dall’indimenticabile Giuseppe Garrone, morto il 3 febbraio di quest’anno, pro-life di primissimo piano che non si volle mai allineare a talune scelte di compromesso del Movimento per la Vita Italiano. E che oggi sarebbe, evidentemente e clamorosamente, espulso dal MpV nazionale.
La rabbiosa azione disciplinare del Movimento per la Vita Italiano si inserisce nel clima da caccia alle streghe già inaugurato da tempo nei confronti della Federazione del Piemonte, la quale a maggioranza assoluta appoggia la linea dell’attuale presidente Marisa Orecchia. Il Movimento per la Vita Italiano, preso atto che le posizioni del presidente Carlo Casini risultavano minoritarie in Piemonte, in giugno ha fondato una nuova federazione parallela, che raccoglie MpV e CAV allineati al Nazionale, con l’intenzione di soppiantare la Federazione esistente.
Il Comitato Verità e Vita, associazione rigorosamente pro-life, aconfessionale e indipendente, prende atto con vivo rammarico dei metodi persecutori messi in atto dal Movimento per la Vita Italiano, che ricordano le epurazioni tipiche dei partiti politici e delle loro correnti, che nulla dovrebbero avere a che fare con la storia e lo stile di un glorioso movimento di opinione come l’MpVI.
Proprio osservando l’escalation di rappresaglie messe in atto nei confronti di esemplari MpV e CAV locali, il Comitato Verità e Vita ritiene necessario manifestare pubblicamente il suo sconcerto, e denunciare a tutte le persone di buona volontà la gravissima azione persecutoria che il Movimento per la Vita nazionale sta attuando in queste ore, con una disinvoltura inspiegabile e con una leggerezza che sembra ignorare gli elementari diritti di libertà garantiti dall’ordinamento giuridico alle singole persone e alle associazioni.
Chiediamo che ognuno faccia sentire la sua voce di ferma protesta, e che chiunque sia in grado e ne
abbia l’autorità, intervenga per porre fine a una campagna di epurazioni che non fa onore al mondo prolife.
Il Comitato Verità e Vita è una Associazione aconfessionale e apartitica.
Ha iniziato la sua attività il 28 FEBBRAIO 2004 - a seguito dell’approvazione della legge 40/2004 SULLA FECONDAZIONE EXTRACORPOREA - con la presentazione del Manifesto-Appello “Una legge gravemente ingiusta: la verità sulla fecondazione artificiale ‘in vitro’ ”.
Pubblica nel gennaio 2010 il Manifesto-Appello “Contro la legge sul testamento biologico. Contro ogni eutanasia.”
Sede legale: Via Gonzaga 63/67
15033 Casale Monferrato (AL)
Tel. 0142 454 662; Fax. 0142 690 234
e.mail: veritaevita@yahoo.it
C.F. 91025100065
Conto Corrente Postale 67571448; IBAN IT68R0760110400000067571448
Sito internet: www.comitatoveritaevita.it

Renato Bordonali e l'eutanasia - la sua storia.


Nell'ottobre del 2007, all'improvviso, Renato si scopre malato: leucemia acuta mieloide. Viene ricoverato in un grande ospedale di Milano (non facciamo il nome dell'ospedale e dei medici coinvolti).
Affronta, con grande coraggio, forza e dignità, tutta la trafila delle cure in un Reparto Ematologico all'avanguardia, assistito con sollecitudine e competenza.
Nel maggio 2008 viene dichiarato inguaribile, è ormai "un vuoto a perdere" e qui comincia il vero dramma di Renato che non si rassegna alla "sentenza" e vuole continuare a vivere e a sperare, nonostante tutto. 
Viene affidato dal Primario all'Assistenza Domiciliare che comprende l'assistenza medica e infermieristica a domicilio. Solo le trasfusioni di sangue, quasi giornaliere, devono essere effettuate in ospedale. L'aspettativa di vita era all'incirca di sei mesi, salvo imprevisti. Renato continua a vivere normalmente, a coltivare i suoi interessi, a frequentare la sua Libreria  ceduta all'amico Leonardo, a interessarsi di politica, la sua passione da sempre, ad amare i suoi cari e i suoi gatti (TRE). Non migliora molto, ma neanche peggiora drasticamente come ci si poteva aspettare. Prenota il viaggio a Lourdes con l'UNITALSI  per la fine di aprile 2009. Continua a recarsi in ospedale per le trasfusioni, sempre sereno, forte e coraggioso, recita il Santo Rosario tutti i giorni, legge i Salmi, va a Messa. riceve il Sacramento dell'Unzione degli Infermi, perchè vuole guarire e preparsi al Grande Incontro se così avesse deciso il Signore.  Si indigna per il caso di Eluana Englaro che segue con grande partecipazione, profondamente convinto che nessuno aveva il diritto di accorciare anche di un solo giorno la vita di quella disgraziata ma certo non inutile Creatura. Purtroppo l'entourage di medici che lo cura a domicilio sembra avere idee molto differenti dalle sue. Alla fine il gentile medico che lo curava da mesi era forse infastidita dal faldone della cartella clinica che si appesantiva sempre più ed era incredula che un malato in quelle condizioni fosse così pazzo da affittare una casetta in montagna e da andarci  pure spesso, in auto e da solo. Non solo, il malato ride e fa battute su Obama che non gli piace nemmeno un po', costruisce grafici in excel sull'andamento delle sue piastrine, insomma è più vitale di tanti uomini sani che trascinano stancamente un'esistenza vuota di senso e di valori. A Renato mancava la salute fisica, ma la mente non cedeva di un millimetro e di tutto era carente meno che di valori. A questo punto, il gentile e giovane medico sputa il rospo: "Non è etico sprecare tutto questo sangue per una persona comunque destinata a morire! Lei, Signor Bordonali, dovrebbe decidersi ad entrare in un hospice dove in capo a una settimana, non potendo fare le trasfusioni, perchè non è un ospedale, tutto finirebbe! Tanto, Lei non ha scampo" . Era il 17 novembre 2008. Renato si sentì mancare, più per la mancanza di umanità dimostrata da un medico che pure aveva fatto il giuramento d'Ippocrate e a cui lui era affezionato, che per le parole stesse. Aiutato dai suoi cari e grazie a Michela, amico e medico di grande cuore e anche dal medico di sempre, dott. Luigi Tedone, riuscì a lasciare la Struttura in cui era in cura dal 2007 da un giorno all'altro e senza salutare, ovviamente. Trovò una accoglienza calorosa e competente al Reparto di Ematologia del Policlinico, il Day Hospital, dove i dottori Nicola Fracchiolla, Reda e Aprile e gli infermieri lo hanno curato con dedizione. Lo consolarono delle dure parole e del disprezzo subito come malato e come persona affermando che per loro anche il novantacinquenne leucemico aveva diritto alle trasfusioni fino all'ultimo giorno della sua vita. Questi giovani medici, a cui va  il nostro ringraziamento e la nostra benedizione, avevano fede in Dio. Credevano che Dio solo ha il diritto di donare la vita e di riprendersela! Forse il giovane medico dell'altra struttura ospedaliera aveva altre convinzioni. Non lo sappiamo.
Renato ha confidato la sua storia anche a Padre Antonio Zanotto, francescano capuccino, che in un'omelia del 19 dicembre, all'Oasi di Antegnate, raccontò ai fedeli durante la messa quello che era successo a una Creatura di Dio, a Renato.Pur non facendo nomi di ospedali, ovviamente, mise in guardia i fedeli dall'affidarsi a certe strutture o cure domiciliari, cosiddette all'avanguardia, senza prima accertarsi bene delle intenzioni reali di queste strutture e cioè eliminare prima possibile i vuoti a perdere, nel rispetto della Legge, s'intende. Padre Zanotto disse chiaramente tutto ciò. Esiste il CD con la registrazione di questa omelia.
 Il 18 marzo 2009, Renato ha festeggiato, insieme ai suoi cari e ai suoi amici, il suo compleanno in una pizzeria di Milano. Felice come un bambino, ha spento le sue 60 candeline, ha scartato i suoi regali. Secondo qualcuno, doveva essere morto da almeno 7 mesi. Sono stati invece sette mesi bellissimi pur nella sofferenza della malattia, ricchi di risate, di Fede, di Speranza, di Amore per tutti anche per il medico domiciliare a cui aveva perdonato col cuore, per amore di Gesù Crocifisso. Gite in montagna, nella sua amata Moggio, cibi mangiati con soddisfazione, libri interessanti, coccole a non finire con la sua amatissima gattina Iside, con il suo gattone Michele, fregandosene delle eventuali pericolosissime graffiatine. Tutto questo, per qualcuno, non ci sarebbe dovuto essere... per motivi etici, ovviamente, per essere politicamente corretti, ovviamente... Il Signore, che non ha bisogno del politically correct ha deciso altrimenti. Renato è andato in Cielo il 15 aprile senza subire un solo giorno di allettamento totale; un'emorragia cerebrale lo ha portato via in pochissimo tempo, dopo aver ricevuto i Sacramenti chiesti da lui stesso, con la mente rivolta a Lourdes e alla Dolce Madre. Sia fatta la volontà di Dio.


"Una parola ha detto Dio,
due ne ho udite:
il potere appartiene a Dio,
tua, Signore, è la Grazia;
secondo le sue opere
 tu ripaghi ogni uomo."

Dal Salmo 61




2007 dicembre - Renato Bordonali in ospedale


18 marzo 2009 - 60° Compleanno di Renato Bordonali
______________________________________________



lunedì 11 luglio 2011

11 luglio 2011 - San Benedetto - Onomastico di Papa Benedetto XVI - Tanti auguri al nostro Santo Padre

Papa Benedetto XVI in  Inghilterra con il gatto nero Pushkin

San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo. 

Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. 

La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.

Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo. 

Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta. 

Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.

Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 9.04.2008)

SANTI E BEATI

-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Renato amava molto Papa Benedetto XVI ed era stato contento che fosse succeduto al grande Papa Karol sul soglio di Pietro. I libri scritti da Papa Ratzinger avevano lasciato il segno in Renato e contribuito al suo cammino di conversione.

Era contento anche che il nuovo Papa fosse un Gattaro e amasse  molto i gatti,  tutti gli animali e tutto il Creato.

In quanto a gattoni neri anche Renato non scherzava. Qui lo vediamo in una delle sue foto preferite con l'amato gatto nero Michele (8 kg. di peso, senza vestiti).

Renato Bordonali
 con il suo amatissimo gatto nero Michele.


lunedì 27 giugno 2011

CHIANCIANO TERME - PIENZA/ 18-21 LUGLIO 2011/ SIGNIFICATO E FUNZIONE DELLA CATTEDRALE, DEL GIUBILEO E DELLA RIPRESA DELLA PATRISTICA DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO

www.lrst.net
Locandina del Convegno di Chianciano
Programma del Convegno Chianciano/Pienza

Programma del Convegno - pag. 2
Renato Bordonali e la Professoressa Luisa Rotondi Secchi Tarugi hanno collaborato a lungo. Insieme hanno pubblicato molti testi importanti sul Petrarca e il Rinascimento nella Collana "Caleidoscopio" della Editrice Nuovi Orizzonti di Renato Bordonali.
La Professoressa Rotondi Secchi Tarugi è la Presidente dell'Istituto Studi Umanistici Francesco Petrarca che ha sede a Milano. Ogni anno l'Istituto organizza Corsi e Convegni con al centro la figura del grande scrittore umanista. 
Renato si riprometteva di dedicarsi sempre di più alla collaborazione con questo Istituto e con la Professoressa Secchi Tarugi, ma il Signore ha deciso altrimenti. Sia fatta la Sua volontà.  Sicuramente le pubblicazioni sul Medioevo e il Rinascimento sono quelle che Renato ha amato di più come Editore. In queste opere, di grande livello non solo editoriale, ma culturale e artistico, Renato ha dato tutto sè stesso con grande dedizione e grande passione. Ha seguito personalmente, giorno dopo giorno, la stesura dei testi, la scelta delle immagini, sempre in piena sintonia con la Professoressa Signora Luisa che l'ha sempre sostenuto e le è stata vicino, con amicizia, anche nella lunga malattia. Un sodalizio fra due "Sognatori" che amavano libri di grande contenuto nella sostanza e molto belli nella forma. 
I libri di questa collana si possono trovare presso la Libreria Hoepli di Milano e presso la Libreria dell'Isola di Via Pollaiuolo,5 - Milano (tel. 0266800580 Leonardo). Telefonando al numero 0266800580 è possibile sapere quali sono le librerie in Italia presso cui possono essere rinvenuti questi preziosi libri unici nel loro genere.
L'Ermetismo nell'Antichità e nel Rinascimento - Milano, giugno 1998


L'ermetismo nell'antichità e nel Rinascimento - Indice degli argomenti


L'ermetismo nell'antichità e nel rinascimento - L'Amor Sacro e l'amor profano


Pubblichiamo in questo post uno dei libri della collana di cui parliamo.
Auguriamo alla Professoressa Secchi Tarugi, ai Relatori e a tutti i partecipanti al prossimo Convegno di Chianciano una felice e proficua partecipazione a questo convegno che si terrà  nella bellissima regione toscana.


Italia medievale
Libreria L' Ultimo dei Templari

lunedì 30 maggio 2011

Festa di S. Antonio di Padova 2011 - Basilica Santuario S. Antonio - via Carlo Farini, 10 - Milano



Biografia di Sant'Antonio di Padova

Lisbona, Portogallo, c. 1195 - Padova, 13 giugno 1231
Fernando di Buglione nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo aLisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l'ordine dei Canonici Regolari di Sant'Agostino. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa. Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi.
Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell'abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici) catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo averceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
E' mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito "arca del Testamento". Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d'asma ed è gonfio per l'idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell'Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano "guerre intestine" tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte dal papa GregorioIX.
La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.
Autore:

Maurizio Valeriani
Santi e Beati

Piccola Bibliografia su Sant'Antonio di PadovaCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anteriore


Frati Minori di Lombardia

Renato era molto devoto di questo grande Santo. Era stato pellegrino a Padova e spesso visitava il Santuario di Sant'Antonio di Milano in via Farini.
Il giorno di Natale del 2007 aveva partecipato alla Santa Messa alle 7,30 del mattino proprio nel Santuario di via Farini.  Le foto seguenti sono state scattate allora.

25 dicembre 2007
 -Renato Bordonali nel Santuario di S. Antonio di Padova

Basilica Santuario di S. Antonio di Padova
 Via Farini, 10 - Milano


Sant'Antonio di Padova - Santuario di Milano
 La corona floreale è un omaggio del popolo dello Sri-Lanka 


sabato 21 maggio 2011

Carl Schmitt - Intelligenze scomode del Novecento - Incontro a Milano, martedì 22 maggio 2011.

Carl Schmitt, uno dei più illustri giuristi del Novecento che ha dedicato l'intera esistenza allo studio dello ius publicum Europaeum.
Martedì 24 maggio, h. 18,30, con Claudio Bonvecchio - Spazio Oberdan - Viale Vittorio Veneto, 2 - Milano - Ingresso libero fino a esaurimento posti.
Il novecento è il secolo dei grandi totalitarismi. Paradossalmente è stato anche caratterizzato dalla presenza di scrittori e pensatori solitari e ribelli, spesso emarginati e sempre sconfitti dalla storia, che hanno lasciato un patrimonio ideale ancora ai vertici dei rispettivi campi letterari e artistici. E' il caso, per esempio, di Ezra Pound, L.F.Celine, Alessandro Blasetti, Ernst Junger, Carl Schmitt.  A queste e ad altre figure Giano Accame ha dedicato una serie di documentari intitolati Intelligenze scomode del Novecento, realizzati da RAI Educational e mandati più volte in onda su RAI Tre.
Intelligenze scomode del '900
La realizzazione di questo ciclo di incontri è a cura del professor Luca Gallesi, giornalista e scrittore.


Carl Schmitt (1888 - 1985)

 Schmitt nasce in una numerosa e modesta famiglia cattolica nella Westfalia prussiana e protestante. Laureatosi nel 1910 e ottenuto nel 1915 il dottorato in diritto all'Università di Strasburgo (allora parte della Germania) e nel 1916 la libera docenza, pubblicò nel 1921 Die Diktatur (La dittatura, sulla costituzione della Repubblica di Weimar), nel 1922 Politische Theologie (Teologia politica, ostile alla filosofia del diritto di Hans Kelsen), nel 1923 Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus (La situazione storico-intellettuale del parlamentarismo odierno, sull'incompatibilità fra liberalismo e democrazia di massa) e nel 1926 Der Begriff des Politischen (Il concetto di politico, sul rapporto amico/nemico come criterio costitutivo della dimensione del 'politico').

Testata della Deutsche Juristen-Zeitung
Dopo aver insegnato in varie università tedesche, divenne professore all'Università di Berlino nel 1933, qualifica che sarebbe stato costretto ad abbandonare nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale. Aveva aderito al partito nazista il 1º maggio 1933, e a novembre dello stesso anno era divenuto presidente della Vereinigung der nationalsozialistischen Juristen (Unione dei giuristi nazionalsocialisti); nel giugno 1934 divenne direttore della Deutsche Juristen-Zeitung (Rivista dei giuristi tedeschi). Nel dicembre 1936 fu tuttavia accusato di opportunismo sulla rivista delle SS e dovette rinunciare a giocare un ruolo da protagonista nel regime.
Catturato dalle truppe americane alla fine della guerra, rischiò di essere imputato al processo di Norimberga, ma fu rilasciato nel 1946 e tornò a vivere nella cittadina natale, dove continuò a lavorare privatamente e a pubblicare nel campo del diritto internazionale.  (tratto da  Wikipedia).

Carl Schmitt
Renato amava molto questi documentari di Giano Accame. Aveva conosciuto Giano e spesso ricordava con simpatia questo incontro con uno scrittore e giornalista straordinario. Renato si era procurato tutti i documentari di RAI Educational e li conservava tra i suoi DVD preferiti.  Negli scaffali della sua libreria "L'Isola del Sole" erano presenti i libri di Schmitt, di Accame, di Gallesi e di Bonvecchio. Questi libri sono stati poi ereditati dalla Libreria Puerto dos Libros- Via Pollaiuolo, 5 - Milano- tel. 02 66800580.

Carl Schmitt: piccola bibliografia
Copertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anterioreCopertina anteriore

sabato 30 aprile 2011

1° Maggio 2011, Roma - Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II


Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger
 (foto di O.R. Editrice Millenium)
1° Maggio 2011 - Roma - Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II
Renato amava molto Papa Giovanni Paolo II e apprezzava anche il suo successore Papa Benedetto XVI.
Domani è festa per tutti in Cielo e Renato naturalmente sarà in prima fila a fare un po' di caciara, pardon festa, alla romana insomma.
I romani sono sempre un po' polemici con il loro Vescovo, ma ...
guai a chi glielo tocca e Renato, da  romano de' Roma, non faceva eccezione.
Gran bel giorno domani: domenica in Albis, Festa della Divina Misericordia, festa dei lavoratori e San Giuseppe Artigiano. Il giorno più adatto per beatificare questo grande papa, operaio e difensore dei lavoratori, papa della Divina Misericordia e autore della Esortazione apostolica "Redemptoris Custos, la figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa". Avremo tutti un potente intercessore in più in Paradiso.
Chi ha la fortuna di essere a Roma in questi giorni potrà anche visitare la Chiesa di Santo Spirito in Assia, nei pressi del Vaticano, la Chiesa della Divina Misericordia dove si venerano anche la Madonna di Fatima, tanto cara a Papa Woityla, e santa Faustina Kowalska, suora polacca.


Grandi amici, Karol e Lech. Grazie a loro e soprattutto alla Madonna di Fatima il Muro di Berlino è caduto nel 1989 senza spargimento di sangue.

Piccola bibliografia. Questi libri erano sempre  presenti nello scaffale dedicato al papa polacco nello scaffale della "Libreria l'Isola del Sole".







 Motto del Papa: "Totus tuus ego sum, Maria, et omnia mea tua sunt"




 
Ed ecco Renato nella sua Roma.
Roma, San Pietro 1967 - Renato Bordonali


Roma Castel Sant'Angelo 1967 - Renato Bordonali a 18 anni

Chiudiamo questo  post con un devoto omaggio a San Giuseppe di cui domani ricorre  la festa nella sua qualità di Patrono dei lavoratori
Basilica Santuario di Sant'Antoniodi Padova
 Milano, via Farini 10  - Altare di San Giuseppe




lunedì 25 aprile 2011

Milano 25 aprile 2011 - Manifesti antifascisti: un esempio da non imitare


Manifesti nei pressi di Piazza Piola - Milano, 25 aprile 2011
Si sta festeggiando il 150°Anniversario dell'Unità d'Italia e, oggi, 25 aprile 2011, questi manifesti incitano purtroppo all'odio fra italiani in nome di una guerra finita (?) 66 anni fa. Invitiamo piuttosto alla preghiera, con rispetto, per tutti i caduti di quella terribile guerra civile, cittadini, partigiani e fascisti. E' nostra opinione che la Pace vera  non si costruisce con i pacifismi, le manifestazioni e le bandiere arcobaleno, ma con il rispetto reciproco e soprattutto con il perdono reciproco.
Giovanni Paolo II diceva: "non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono".

Riportiamo di seguito, la storia di due ragazzi coraggiosi, uno di sedici anni e uno di quattordici, il primo partigiano e il secondo seminarista cattolico, entrambi vittime dell'odio di quei terribili giorni di sangue:

Amleto Livi (non abbiamo foto) Nato a Milano il 23 agosto 1929, caduto ad Invorio (Novara) il 28 marzo 1945.
Era soltanto quattordicennne, ma subito dopo l'armistizio volle prendere parte alla guerra di Liberazione arruolandosi, col nome di battaglia di "Matteotti", in una formazione partigiana del Modenese. Catturato dai fascisti e portato in un campo di concentramento tedesco, il ragazzino riuscì fortunosamente a fuggire e a raggiungere la Valle d'Ossola. Divenne così staffetta della X Brigata Garibaldi "Rocco". Con altri nove compagni, Amleto cadde ad Invorio, in una tragica imboscata. Pochi giorni dopo quel combattimento, il padre di "Matteotti" si presentò al Comando di brigata e volle prendere il posto del figliolo caduto. Al nome di Amleto Livi è stato intitolato il Convitto-Scuola Rinascita di Milano che, nel dopoguerra, ha "scolarizzato migliaia di giovani ex partigiani e orfani di patrioti caduti durante la Resistenza.  Amleto Livi riposa nel Cimitero di Musocco a Mìlano (da biografie ANPI).
ANPI


Rolando Rivi - Servo di Dio - adolescente - Martire
Le origini, la vocazione al sacerdozio Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, villaggio del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), borgo campagnolo, posto a 300 metri d’altitudine sulle prime alture dell’Appennino, tra il torrente Tresinaro e il fiume Secchia.
Secondo dei tre figli di Roberto Rivi e di Albertina Canovi, al battesimo, amministrato dal parroco don Luigi Lemmi, gli fu imposto il nome di Rolando Maria.
Il giovane papà di 28 anni, Roberto, era figlio di Alfonso Rivi e di Anna Ferrari, che dall’inizio del Novecento, provenienti da Levizzano-Baiso, si erano trasferiti a San Valentino a lavorare la terra, e verso gli anni Venti si erano spostati nell’ampio casolare di campagna del “Poggiolo” con i loro nove figli, dei quali Roberto era il primogenito, nato nel 1903 anche lui a San Valentino.
Il papà di Rolando era cresciuto educato alla fede genuina e forte della sua mamma Anna Ferrari, e nei tempi eroici dell’Azione Cattolica degli anni Venti, aveva fatto parte dei giovani iscritti della sua parrocchia; prima di andare a lavorare nei campi, ogni mattina assisteva alla celebrazione della Messa e si accostava alla Comunione.
In questa atmosfera di forte religiosità e fede concreta, crebbe Rolando, insieme al fratello maggiore Guido e alla sorella minore Rosanna.
Sano di salute ed esuberante nel carattere, con la sua vivacità procurava spesso ansia ai genitori, ma la nonna Anna aveva intuito il suo temperamento e diceva: “Rolando o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo”.
A sei anni nel 1937, iniziò a frequentare le scuole elementari e nel contempo la parrocchia; sia la maestra Clotilde Selmi, sia la catechista Antonietta Maffei, profusero nella giovane anima di Rolando l’amore per la vita, per la famiglia, per Gesù, per i fratelli, completando ed integrando l’educazione che riceveva dai suoi familiari.
Fu ammesso a ricevere l’Eucaristia quasi subito, perché era tra i fanciulli che si erano preparati meglio ed in fretta; fece la Prima Comunione il 16 giugno 1938 festa del Corpus Domini; dopo quel giorno Rolando cambiò, pur rimanendo vivace divenne più maturo e responsabile, cambiamento che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima il 24 giugno 1940.
Intanto il suo parroco don Olinto Marzocchini, che dal marzo 1934 aveva preso il posto del defunto parroco Lemmi, divenne il suo maestro e modello di vita, indirizzando da padre spirituale, la sua giovane e innocente anima verso la scoperta di Cristo.
Rolando si accostava ogni settimana al Sacramento della Penitenza e ogni mattina si alzava presto per servire la Messa e ricevere la Comunione.
Aveva quasi 11 anni, quando non potendo più contenere dentro di sé la voce di Gesù che lo chiamava, disse ai genitori e nonni: “Voglio farmi prete, per salvare tante anime: Poi partirò missionario per far conoscere Gesù, lontano, lontano”.
I suoi pii genitori non si opposero, e Rolando completato il ciclo delle elementari, all’inizio dell’ottobre 1942 entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia) per le medie-ginnasio; come allora si usava, vestì subito la tonaca talare e Rolando ne fu orgoglioso, portandola con dignità e amore.
L’avvertiva come segno della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa e ne era fiero, e proprio l’amore che portava all’abito talare, sarà la causa della sua prematura fine.
In Seminario; la guerra entra nella sua vita; il ritorno forzato a casa  Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per la sua gioia verso Gesù, per le preghiere prolungate davanti al Tabernacolo; divideva con i compagni, cibo, frutta, dolci, che spesso erano portati dai suoi genitori in visita.
Amante della musica, entrò a far parte della corale e cominciò a suonare l’armonium e l’organo per rendere più solenni le cerimonie liturgiche; quando tornava a casa, aiutava i genitori nei lavori di campagna e suonando l’armonium accompagnava il coro parrocchiale, dove cantava anche il padre Roberto; organizzava i ragazzi nei giochi, partecipò ai pellegrinaggi mariani che don Marzocchini organizzava.
Intanto la guerra infuriava e anche il tranquillo villaggio di San Valentino ne era scosso; dopo l’8 settembre 1943 con la caduta di Benito Mussolini e l’occupazione della Penisola da parte dei tedeschi, si erano aggregate, specie nelle province emiliano-romagnole, formazioni partigiane, che a parte gruppi minoritari di cattolici democratici, erano in maggioranza composte da comunisti, socialisti, aderenti al Partito d’Azione, tutti accomunati oltre che dall’odio verso i fascisti, anche da una forte connotazione anticattolica.
La frangia più estrema, quella dei comunisti, non si limitava a combattere i tedeschi; vedendo nel clero un pericoloso argine al proprio progetto rivoluzionario, l’anticlericalismo diventò violento e man mano sempre più minaccioso.
Nel giugno 1944, quando Rolando finì la II Media, i tedeschi occuparono il Seminario di Marola e i seminaristi furono mandati a casa.
Anche Rolando dovette tornare a San Valentino, portando con sé i libri per poter continuare a studiare a casa e per non perdere l’anno scolastico.
Continuò a sentirsi seminarista, la chiesa e la casa parrocchiale furono i luoghi prediletti per il trascorrere del suo tempo: la Messa quotidiana con la Comunione, la meditazione, la visita pomeridiana a Gesù nel Tabernacolo, il rosario alla Madonna, suonava con letizia l’armonium; simpatico a tutti, riprese i contatti con i bambini, con i coetanei, insegnando loro a fare i chierichetti, a sera in casa, guidava vicino alla nonna, la recita del rosario.
Il parroco l’osservava compiaciuto del suo fervore, che non veniva meno fuori dell’ambiente specifico del seminario, d’altra parte Rolando Rivi non smise di portare la tonaca, pur restando a casa, in attesa di poter ritornare nel Seminario.
I genitori, spaventati da quanto succedeva nei dintorni, con le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani, accompagnate anche da furti, razzie e violenze, insistevano col figlio di togliersi quella benedetta veste nera, perché i tempi non erano buoni per il momento; ma Rolando rispondeva: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela”; “Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”.
La situazione in paese precipita  Intanto a San Valentino anche don Olinto Marzocchini era stato aggredito una notte, e giacché già altri preti (Donatelli, Ilariucci, Corsi, Manfredi), erano stati uccisi dai partigiani comunisti (nella sola provincia di Reggio Emilia si conteranno alla fine 15 sacerdoti uccisi), fu opportunamente trasferito in luogo più sicuro e al suo posto fu inviato un giovane sacerdote, don Alberto Camellini.
Rolando si trovò ancora più spaesato, venendo meno la sua guida spirituale, ma soprattutto era addolorato per la violenza che don Olinto aveva subito; comunque prese a collaborare col nuovo vice curato, con la consueta disponibilità ed entusiasmo.
In paese scoppiavano spesso discussioni politiche, alle quali non era facile rispondere, meglio tacere, ma in un’occasione in cui era presente l’adolescente seminarista, alcuni attaccarono ingiustamente la Chiesa e l’attività dei sacerdoti e Rolando con impulsività, ne prese le difese davanti a tutti senza alcuna paura. Così a quanti già l’ammiravano in paese, si alternarono taluni che lo presero a malvedere.
Trascorse così l’inverno a San Valentino, allietando e solennizzando le funzioni religiose dell’Immacolata, del Natale, dell’Epifania, con le armoniose note dell’organo da lui suonato.
Il 1° aprile 1945, Pasqua di Resurrezione, ritornò in parrocchia don Marzocchini e al suo fianco rimase il giovane curato don Capellini, e come previsto, Rolando partecipò alle solenni funzioni della Settimana Santa, alternandosi al servizio dell’altare e al suono dell’organo; il parroco insistendo, volle dargli un piccolo dono in denaro, per ricompensarlo di tutti servizi fatti in quell’intenso periodo di celebrazioni.

Il martirio del giovane seminarista
C’era ancora la guerra, ma nell’aria si avvertiva che stava finalmente avviandosi alla fine; Rolando nei giorni successivi, non mancò mai alla Messa e alla Comunione e dopo con i libri sottobraccio, nel fiorire della primavera, si spostava in un vicino boschetto a studiare.
E anche martedì 10 aprile al mattino presto, era già in chiesa per la Messa cantata in onore di s. Vincenzo Ferreri, che non si era potuta celebrare il 5 aprile, perché cadeva nell’Ottava di Pasqua, suonò e accompagnò all’organo i cantori, fra i quali suo padre; ricevette come al solito la Comunione e al termine della celebrazione, dopo aver preso accordi con i cantori per la Messa dell’indomani, ritornò a casa.
Mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, Rolando prese i libri e si allontanò come al solito a studiare nel boschetto, indossando sempre la sua veste nera.
A mezzogiorno, i genitori l’attendevano per il pranzo e non vedendolo si recarono nel vicino boschetto a cercarlo; trovarono a terra i libri e un biglietto: ”Non cercatelo; viene un momento con noi partigiani”.
I partigiani comunisti che l’avevano sequestrato, lo portarono nella loro ‘base’; il padre e il cappellano don Camellini, angosciati presero a cercarlo dovunque nei dintorni, intanto Rolando era stato spogliato della veste nera, che li irritava particolarmente, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato.
Rimase tre giorni prigioniero dei partigiani, subendo offese e violenze; davanti a quel poco più di un ragazzino piangente, qualcuno di loro mosso a pietà, propose di lasciarlo andare, perché in effetti era soltanto un ragazzo; ma altri si rifiutarono e lo condannarono a morte, per avere “un prete futuro in meno”.
Lo portarono in un bosco presso Piane di Monchio (Modena); scavata lì una fossa, Rolando fu fatto inginocchiare sul bordo e quando lui, avendo ormai compreso, singhiozzando implorò di risparmiarlo, ebbe come risposta dei calci e mentre pregava per sé e per i suoi cari, due scariche di rivoltella, una al cuore e una alla fronte, lo fecero stramazzare colpito a morte nella fossa.
Fu ricoperto con pochi centimetri di terra e foglie secche; era venerdì 13 aprile 1945 e Rolando aveva solo 14 anni e 3 mesi: la sua veste da seminarista fu arrotolata come un pallone da calciare e dopo appesa come un trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina.
Solo il giorno dopo, su indicazione di uno dei partigiani, il padre Roberto e il cappellano ritrovarono il corpo, la salma ricomposta, fu posta in una bara improvvisata e portata nella chiesa parrocchiale di Monchio per la funzione liturgica, e poi sepolta nel locale cimitero parrocchiale.
Solo dopo, il padre e il cappellano ritornarono a San Valentino a portare la notizia alla desolata madre e al villaggio; la notizia suscitò uno sgomento generale di fronte a tanta barbarie.
A guerra ultimata, il 29 maggio 1945, la salma del giovane martire fu riportata nel suo villaggio, posta in una bara bianca e fra le lacrime di tutta la popolazione, fu tumulata in località Montadella.
I suoi genitori scrissero sulla sua tomba: “Tu che dalle tenebre e dall’odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo”.
Rolando Rivi fu, ed è, una delle tante stelle luminose del firmamento affollato dei martiri, specie del XX secolo, che passando dalla Rivoluzione Messicana, alla Guerra Civile Spagnola, alla Rivoluzione e persecuzione in Russia o vittime delle due Guerre Mondiali, hanno testimoniato con il loro sangue innocente, la fede in Cristo seguendolo lungo il Calvario.
Dopo 60 anni, il 7 gennaio 2006, l’arcivescovo di Modena mons. Benito Cocchi, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 30 settembre 2005, ha dato inizio, nella chiesa modenese di Sant’Agostino, al processo diocesano per la beatificazione del seminarista Rolando Rivi, martire innocente, caduto sotto l’odio anticlericale e anticristiano del tempo, per aver voluto testimoniare, indossando l’abito talare fino all’ultimo, la sua appartenenza a Cristo.

Autore: Antonio Borrelli
Santi, Beati e Testimoni

Renato ha sempre commemorato il "25 aprile" partecipando alla Santa Messa che ogni anno viene celebrata a Musocco al "CAMPO X -  ILCAMPO DELL'ONORE" in memoria dei caduti della RSI.